Negli ultimi anni, le interazioni tra salute mentale e benessere cardiovascolare sono diventate oggetto di crescente attenzione clinica. È ormai chiaro che condizioni come la depressione non si limitano a compromettere il benessere psicologico, ma possono influenzare in modo diretto la salute del cuore. Oltre alla maggiore incidenza di ipertensione, obesità e disfunzioni autonomiche tra chi soffre di disturbi dell’umore, emerge oggi un nuovo dato: l’utilizzo a lungo termine di antidepressivi potrebbe essere associato a un aumento del rischio di eventi cardiaci gravi.

Una recente ricerca condotta in Danimarca e presentata al congresso EHRA 2025 ha analizzato la relazione tra l’uso di antidepressivi e il rischio di eventi cardiaci improvvisi, valutando l’impatto di durata del trattamento, età e sesso. I risultati suggeriscono che, sebbene questi farmaci siano spesso indispensabili per il trattamento di disturbi psichiatrici, il loro impatto sulla salute cardiovascolare merita un attento monitoraggio clinico.

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Il cuore sotto pressione: perché la depressione è un rischio cardiovascolare

La depressione non è solo un disturbo dell’umore: è anche una condizione infiammatoria sistemica, in grado di modificare profondamente il funzionamento del sistema cardiovascolare. Diversi studi clinici hanno dimostrato che i pazienti affetti da depressione presentano livelli più elevati di cortisolo, una maggiore attivazione simpatica, e alterazioni del tono vagale, tutti elementi che contribuiscono ad aumentare il rischio di eventi acuti a carico del cuore.

Oltre agli effetti biologici diretti, la depressione tende a compromettere anche lo stile di vita e l’aderenza alle terapie, riducendo l’attività fisica, favorendo abitudini alimentari scorrette e aumentando l’uso di alcol e tabacco. Questo crea un circolo vizioso che alimenta il rischio cardiovascolare, in particolare nei soggetti che hanno già fattori predisponenti come ipertensione, diabete o obesità.

È in questo contesto complesso che si inserisce l’uso degli antidepressivi. Se da un lato sono fondamentali per migliorare la qualità della vita, dall’altro devono essere gestiti con attenzione clinica, poiché alcuni principi attivi possono interagire con l’attività elettrica del cuore, potenziando il rischio di aritmie.

Per questo è cruciale adottare un approccio integrato e personalizzato nella gestione del paziente con depressione: non solo psicoterapia e farmacologia, ma anche monitoraggio cardiovascolare e prevenzione proattiva.

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Cosa dice lo studio danese sull’uso prolungato di antidepressivi

Una delle ricerche più rilevanti sull’argomento è stata condotta in Danimarca e presentata all’EHRA 2025, il congresso scientifico della Società Europea di Cardiologia. I ricercatori hanno analizzato i dati clinici e i certificati di decesso di adulti tra i 18 e i 90 anni, confrontando l’incidenza di eventi cardiaci acuti tra chi aveva fatto uso di antidepressivi per almeno un anno e chi non ne aveva mai assunti.

I risultati sono chiari: chi ha assunto antidepressivi per un periodo tra 1 e 5 anni presenta un aumento del 56% del rischio di episodi cardiaci improvvisi rispetto ai non utilizzatori. Per chi ha prolungato l’assunzione oltre i 6 anni, il rischio risulta più che raddoppiato.

Questi dati, pur non dimostrando una relazione causale diretta, suggeriscono che la durata dell’esposizione al farmaco sia un fattore cruciale. Non solo: il rischio sembra crescentemente correlato alla persistenza della malattia depressiva, alla sua severità e a potenziali effetti cumulativi a livello cardiovascolare.

Per i clinici e i pazienti, questo significa una cosa sola: è fondamentale non banalizzare i trattamenti di lunga durata e attivare strumenti di monitoraggio che possano rilevare eventuali segni precoci di alterazioni cardiache.

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Quanto conta l’età e chi è più esposto al rischio

Un aspetto particolarmente interessante emerso dallo studio danese è che l’impatto degli antidepressivi sul rischio cardiovascolare non è uniforme per tutti i pazienti. L’età gioca un ruolo determinante nella modulazione del rischio, con effetti diversi tra giovani adulti e soggetti più anziani.

Ad esempio, nella fascia 30–39 anni, i pazienti che hanno assunto antidepressivi per 1–5 anni risultano essere 3 volte più esposti a eventi cardiaci acuti rispetto ai coetanei non trattati. Questa probabilità sale a 5 volte nel caso di utilizzo superiore ai 6 anni. Anche nella fascia 50–59 anni, il rischio raddoppia con trattamenti di medio periodo e quadruplica in caso di esposizione prolungata.

Nonostante ciò, gli autori dello studio hanno precisato che il rischio assoluto resta più elevato negli anziani, a causa della naturale progressione del rischio cardiovascolare legato all’età. In pratica, un trentenne in trattamento ha un rischio relativo più alto, ma un settantenne non trattato ha comunque una probabilità maggiore, in termini assoluti, di incorrere in un evento cardiaco.

Questo significa che il monitoraggio personalizzato deve tener conto sia del farmaco, sia del contesto anagrafico e clinico della persona. L’approccio non può essere standardizzato, ma deve rispondere alle caratteristiche individuali del paziente.

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Interpretare i dati senza allarmismi: farmaco o patologia?

Di fronte a numeri che indicano un aumento significativo del rischio cardiovascolare associato all’uso di antidepressivi, la reazione più immediata potrebbe essere quella di preoccuparsi o voler interrompere il trattamento. Tuttavia, gli esperti raccomandano cautela nell’interpretazione dei dati, ricordando che correlazione non significa necessariamente causalità.

I ricercatori coinvolti nello studio sottolineano che la maggiore incidenza di eventi cardiaci nei pazienti in trattamento potrebbe riflettere anche la gravità del disturbo depressivo, e non solo l’effetto diretto dei farmaci. In altre parole, chi utilizza antidepressivi per periodi prolungati potrebbe già avere un quadro clinico più compromesso, con fattori di rischio cardiovascolari aggiuntivi come stress cronico, insonnia, inattività fisica o altre patologie associate.

Inoltre, non tutti gli antidepressivi hanno lo stesso impatto sul sistema cardiovascolare. Alcune classi di farmaci, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), sono generalmente considerati più sicuri dal punto di vista cardiaco, mentre altri principi attivi possono prolungare l’intervallo QT e aumentare la probabilità di aritmie.

La chiave è la valutazione individuale: solo un medico, conoscendo la storia clinica del paziente, può stabilire se il trattamento sia adeguato e quali misure di prevenzione adottare in parallelo..

Perché serve un approccio integrato tra salute mentale e cardiologica

La separazione netta tra mente e corpo appartiene ormai al passato. Oggi, le evidenze scientifiche impongono una visione più completa: la salute mentale e quella cardiovascolare sono strettamente collegate e influenzano reciprocamente il decorso clinico e la qualità della vita del paziente.

Nel caso specifico della depressione, la gestione farmacologica non può più essere affrontata in modo isolato, ignorando le possibili ricadute su altri apparati. Allo stesso modo, chi presenta fattori di rischio cardiovascolare dovrebbe essere valutato anche dal punto di vista psichico ed emotivo, perché ansia e depressione possono agire come acceleratori nascosti di infiammazione, disfunzione autonomica e alterazioni metaboliche.

È in questo contesto che la telemedicina di nuova generazione può fare la differenza. Monitorare in modo costante e integrato sia i sintomi psichiatrici sia i parametri cardiologici (come frequenza cardiaca, pressione arteriosa, glicemia e peso corporeo) consente di intercettare precocemente deviazioni pericolose e intervenire prima che si traducano in patologie conclamate.

Il sistema Biotechmed risponde a questa esigenza con un ecosistema digitale clinicamente validato che permette di mettere in comunicazione specialisti di ambiti diversi, offrendo così una presa in carico realmente multidisciplinare del paziente.

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Monitoraggio e personalizzazione per una cura più sicura

Le nuove evidenze sul possibile aumento del rischio cardiovascolare legato all’uso prolungato di antidepressivi non devono generare allarmismo, ma vanno interpretate come un’opportunità per rafforzare l’approccio alla cura personalizzata e integrata.

Sappiamo che la depressione non trattata è essa stessa un fattore di rischio per eventi cardiaci e metabolici. Dunque, la sospensione autonoma dei farmaci non è mai la soluzione. Al contrario, è fondamentale garantire che ogni percorso terapeutico sia accompagnato da un monitoraggio clinico continuo, in grado di valutare l’andamento dei parametri fisiologici e di segnalare in tempo reale eventuali anomalie.

Con Tholomeus® e l’approccio Biotechmed, diventa possibile trasformare i dati del paziente in strumenti di prevenzione attiva. Grazie all’integrazione di dati clinici, questionari personalizzati e supporto medico remoto, si può migliorare la sicurezza dei trattamenti a lungo termine, tutelando al contempo la salute mentale e quella cardiovascolare.

In definitiva, la soluzione non è scegliere tra mente e cuore, ma creare un ponte tra le due dimensioni della salute, costruito su tecnologia, formazione e alleanza terapeutica.

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